La previsione urbanistica di un territorio più o meno esteso è la metafora della scelta di vita. Nel panorama italiano, dove l’impostazione del tessuto urbano è tutt’altro che flessibile, una scelta fatta oggi è molto probabile che resti immutata per decine, forse centinaia di anni. Se pensiamo alle periferie urbane di molte città italiane, possiamo notare come lo schema attuale di distribuzione di edifici, viabilità, aree pubbliche risulta identico a quello impostato nell'ante guerra, quando le esigenze umane erano senz'altro diverse. La progettazione urbanistica, soprattutto quella delle aree abitate, assume così un importantissimo ruolo sociale prima che tecnico. Deve essere capace di cogliere i mutamenti del breve e del lungo termine, permettendo flessibilità e rimodulabilità delle funzioni.
Non esiste pianificazione senza l’intuizione sulla reale tendenza di un territorio, studiandone a fondo le vocazioni principali, valutandone con scrupolo le criticità e le debolezze. Tutto questo nella considerazione che le scelte urbanistiche condizionano costumi e modi di vivere, ovvero la qualità della vita quotidiana. Se si progetta un tessuto urbano prevedendo spazi verdi poco fruibili, si privano i cittadini di uno strumento di socialità importantissimo. Se si trascurano i servizi di quartiere si spinge la popolazione a fastidiose migrazioni giornaliere verso altri territori vicini. Se si prevedono tipologie edilizie obsolete o poco appetibili, si contribuisce al degrado sociale. Queste considerazioni sarebbero da sole sufficienti a porre su un piano fondamentale del processo edilizio la pianificazione, ponendo la stessa come pilastro insostituibile della società urbana.
Dal 1968, anno di entrata in vigore del famoso decreto 1444, in Italia ogni nuovo insediamento urbano deve essere dotato di una grande quantità di aree attrezzate a verde e parcheggio. Come mai allora le nostre città sono così visibilmente carenti di questi spazi? La risposta è nella concezione stessa della norma che contempla la destinazione di questi spazi come “aree pubbliche". Senza entrare nel merito del discorso politico, è sufficiente limitarsi a considerare il clamoroso insuccesso di tale impostazione: l’area pubblica, per quanto ben attrezzata nella fase di realizzazione, diviene dopo pochi mesi maltenuta e degradata. Diversamente, se queste superfici venissero consegnate alla proprietà privata, magari individuandone una gestione di quartiere, sicuramente ne guadagnerebbe il privato stesso per la possibilità di fruirne; migliorerebbe però, e in modo deciso, la qualità urbana per via delle problematiche legate alla manutenzione. Questo discorso, sebbene scaturisca principalmente dalla constatazione oggettiva dello stato delle cose, è dettato soprattutto dall'incapacità delle pubbliche amministrazioni. Ben volentieri accetteremo di favorire la gestione pubblica del verde e dei parcheggi, a patto però che si dimostri una reale disposizione alla loro gestione, con stanziamenti periodici per la manutenzione ed efficienza provata.